La devastazione psichica è ovunque, non c’è nessun futuro da immaginare

La devastazione psichica è ovunque, non c’è nessun futuro da immaginare

Non mi sto vivendo la quarantena e per questo motivo ho scritto un articolo per cheFare: parlo di come mi sento, della fortissima pressione psichica collettiva che stiamo vivendo e del dolore che dovremmo, infine, imparare a non dimenticarci non appena tutto questo finirà.

Da sette giorni mi sveglio con la tachicardia e mentre tento di portare il mio battito ad una frequenza che ricordo normale mi lascio sfuggire l’incubo di turno — di questa notte ricordo soltanto che moriva qualcuno e più ci penso e meno riesco a pensare al “dopo”, a quello che dovrebbe succedere quando finirà tutto questo.

Insomma, la tachicardia passa ma ormai il petto è più stretto del solito e non c’è verso di allentarlo: sono le conseguenze logoranti di una trincea personale in cui sono finito per colpa della pandemia e della quarantena necessaria a contenerla. Le statistiche dei contagi italiani sembrano direttamente collegate ai miei tassi di produzione di cortisolo, l’ormone dello stress, e i tentativi di mantenere i contatti con la mia famosa ‘rete sociale’ sono sempre più faticosi tanto che, in un certo senso, si potrebbe dire che mi stia quasi abituando all’isolamento.

Tutti dicono che sarà “un po’ peggio della crisi del 2008” e se penso che quello è stato il singolo evento più negativamente influente per ogni aspetto della vita della mia generazione, quella nata a metà degli anni ‘90, mi viene da ridere. Ho ancora un lavoro, lo posso fare da una casa in cui — sebbene manchi un balcone per lucertolare quotidianamente — sto largo e in solitudine apparentemente serena, sono bianco, sono un maschio, sono in salute e tutti i miei bisogni di base sono soddisfatti — anche la mia famiglia sta piuttosto bene. Quasi tutte le mie conoscenze sono come me, sono in tutto e per tutto un privilegiato.

Nella sua pesantezza il momento sembra propizio per immaginare qualcosa di nuovo rispetto allo status quo — sono emersi dei nervi scoperti nella coscienza politica, civile e sociale della collettività, e non ci dovrebbe essere momento migliore per tracciare un’alternativa, per creare una risposta ad un bisogno che è così urgente da essere, stato addirittura, proiettato sulle mura di un edificio a Santiago del Cile durante le proteste di ottobre 2019, “Non vogliamo tornare alla normalità, perché la normalità era il problema.”  Ma questa situazione non è come le altre: nessuno di noi ha mai vissuto una quarantena durante una pandemia.

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